Nibali, non fa bene tornare a parlare della morte di Marco

"I suoi tifosi vorrebbero ricordarselo per il campione che era, non per quella tragica notte"

1407009828925_nibali.jpg"Non credo che faccia bene al ciclismo tornare a parlare della morte di Pantani, e che non faccia bene nemmeno a Marco. I suoi tifosi vorrebbero solo ricordarselo per il campione che era, non per quella tragica notte". Intervistato dal sito di Vanityfair, Vincenzo Nibali commenta cosi' la notizia che, dopo l'esposto denuncia per omicidio volontario presentato dalla famiglia dell'ex campione, e' stata riaperta l'inchiesta sulla morte del Pirata avvenuta il 14 febbraio del 2004.

"Capisco la madre di Marco e la famiglia, che voglia la verita' sulla morte del figlio - dice ancora Nibali -. Non sono pero' d'accordo nel sparare questa notizia nei titoli dei giornali. Qui non stiamo parlando del risultato di un'inchiesta, gli inquirenti non si sono ancora pronunciati e non c'e' una sentenza. Non trovo giusto che a fare i processi siano i giornali".

"Ricordo che qualche anno fa - continua il vincitore del Tour di quest'anno - venne fuori la notizia che Fausto Coppi non era morto per aver contratto la malaria in seguito a una puntura di una zanzara ma era stato assassinato. Poi pero' si rivelo' una bufala. Lo stesso sta succedendo in questi giorni per il caso di Yara: hanno messo il prima pagina l'assassino e oggi mi sembra che non sia cosi' certo che sia lui il colpevole. Dico solo che bisogna andare cauti con certe affermazioni che non fanno bene al ciclismo: si torna 16 anni indietro, mi chiedo dove si voglia arrivare".

Nibali ha conosciuto direttamente Pantani? "Non avrei potuto, quando e' morto correvo gia' ma nei dilettanti - risponde il siciliano -. Lo vedevo in televisione, il giro che vinse nel '98 e' un mito per noi ciclisti, e' stato uno dei miei idoli da ragazzino, insieme a Bugno, Chiappucci e Cipollini. Certo, Marco era diverso dagli altri, il suo carisma era fortissimo, abbiamo vissuto tutti la 'pantanimania': bandana, sella, occhiali, tutti volevamo essere come lui".

Che idea si era fatto sulla sua morte? "Ero scioccato - sottolinea Nibali -. All'inizio pero' si sapeva che era morto solo in albergo, mi colpi' la tristezza della situazione; solo dopo venne fuori che era stata un'overdose di stupefacenti a ucciderlo. Abbiamo avuto lo stesso direttore sportivo, Giuseppe Martinelli, e lui mi ha sempre detto che Marco era un ragazzo speciale, anche molto sensibile; credo che il fatto di non aver potuto correre quando gli trovarono i valori sballati, l'accusa di doping, l'avesse portato alla depressione. Da li' il pensiero comune nell'ambiente e' che abbia avuto qualche amicizia sbagliata che l'ha portato fuori strada".

In molti, dopo la vittoria al Tour di quest'anno, hanno paragonato Nibali a Pantani?: andra' a Cesenatico a trovare la famiglia del Pirata? "I paragoni non hanno senso perche' in dieci anni nel ciclismo cambia tutto - risponde -: bici, tecnologia, strade. Sarebbe come paragonare Gimondi con me. Comunque non ne ho ancora avuto il tempo, ma a Cesenatico andro' sicuramente".

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  • pubblicato02.08.2014
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